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06

Questo sono e niente altro voglio essere. Questo ricovero virtuale e spirituale vuole essere il deposito dei miei ricordi e di fatti e misfatti. Un modo come un’altro per non far svuotare nel tempo la mia mente.                           Ogni lettera scritta è come sabbia in una clessidra che ad ogni scoccare di tempo, rovesciandola alimenterà  il dimenticatoio dei ricordi e delle emozioni.

Seconda Edizione Ottobre 2014

In uscita

In fine scrittura

copertina Viaggio 19 feb 2014
Copertina 19 Feb 2014
Crescere tra le onde 02 Apr 2015

01    

Capitoli estratti dai libri

Viaggio dentro di me, emblematiIn viaggio dentro me1ca vita

Ho iniziato questo libro per parlare di me, della mia vita, del mio modo di essere, delle mie fantasie, dei miei sogni, delle mie amicizie quelle vere e quelle di comodo. Per parlare dell’amore, quello che unisce tutte specie viventi nella filosofia primordiale .Lì dove non riesco a descrivere le mie sensazioni con le parole che la lingua italiana ci ha messo a disposizione, perché carenti di forma, di sapore, di contatto tridimensionale, ne inventerò delle nuove.
Tutto è nato cosi:
     Un giorno, mentre l’ultimo tocco segnava la fine di quel giorno.. nacqui !!! Con uno strillo di terrore inondai la piccola stanza con le finestre verso il mare, dal blu così intenso che sembrava avere un’anima dentro le sue viscere. Quella fu la prima volta che vidi la porta della vita. Era depilata e pronta alla grande dilatazione. Da lì mia madre con gran fatica e sudore, doglie e morsi su un vecchio strofinaccio mi partorì, lacrime e gocce di sudore acre mescolandosi al profumo di Marsiglia, inondavano la sua vestaglia color salmone. Era un orario sicuramente insolito, la soglia che accompagna da milioni di anni la distinzione da un giorno a quello successivo. Le luci del mio piccolo paese di pescatori, erano quasi tutte spente. Il sonno ed il silenzio sparsi ovunque nelle piccole viuzze, come una cappa insonorizzata, rimbombavano tra muri antichi, diroccati dal terremoto di fronte al mare. L’aria al profumo di pesce impregnata tra le reti, dava il senso della vera risorsa di vita di quella gente.
    Tutto questo scenario fantastico, amplificava il miralo di una nuova vita, la mia. L’urlo che feci a testa in giù, mentre la stanza mi girava intorno, la voce di mio padre in tipico dialetto diceva: <<che bedda ciolla !!!>> aprì i miei polmoni ed i miei grandi occhi neri. Vidi la levatrice che mi teneva dai piedi e mi sculacciava. Da quella posizione vedevo il letto e mia madre, che stava ancora a gambe aperte. Le lenzuola bianche ricamate da vecchie mani esperte, sporche del nettare della vita. Tutto era nei canoni, anche il mazzetto di fiori di campagna improvvisati da mio padre come regalo, appena estirpato dai vasi che erano sul barcone. Quella è stata la mia prima volta a visione il sesso femminile, non ricordo grande entusiasmo in questa esperienza, ma dentro sentivo come maschio la voglia di rivalutare la cosa, con qualche anno in più sulle mie spalle. Cercai di dimenticare la visione del sesso famigliare di mia madre, era stato un incubo. Quando per caso mi capitava di vederla che si spogliava, la mia mente si riempiva di domande e di risposte che nessuno mi ha dato mai. La cultura di allora era nascondere la vergogna dell’amore, il segreto della nascita, nella sua forma meno ortodossa alla felicità, visto le urla, le lacrime ed il dolore. Tant’è che passarono tantissimi anni prima di rivalutare il sesso come maschio. Il tempo poi mi porto a definirlo attraverso la testa e non più con il corpo e l’istinto.
   Scriverò sulla mia filosofia con il rapporto con Dio, con l’Universo, con il conscio ed il subconscio, con i sogni nella realtà.  Lascerò 10 pagine in bianco alla fine del libro, per dar modo a chi mi ama o a chi mi odia, di scrivere la fine della mia vita secondo il rispetto o il disprezzo che merito. L’illusione di poter modificare la storia di una vita, di un destino bello o cattivo che sia, è come rivivere una visione magica del tempo e correggerlo per lasciarlo in testamento ai posteri.

Storiando inciuci e cavoliangelo2

Qualcuno mi ha detto: evidentemente non ti è bastata la fatica del tuo primo libro per scriverne subito un altro. Scrivere per me è uno sfogo, un’espressione diversa del parlare, pensare e dialogare attraverso una penna. La magia delle parole scritte è inequivocabile, mantiene il suo significato e le sue sfumature, senza interporre posture verbali che rischierebbero di far perdere i ricordi, un po’ come fotografare un attimo della propria vita, rimane fissa in quella carta, un’impressione stabile di sentimenti, l’attimo perseverante del momento. Le storie divertenti che vado a raccontare sanno di vita, si sentono dentro e fuori, hanno er profumo de na cofana de facioli co la ventresca, che dopo la scarpetta, anche se nu te so piaciuti, te sei impregnato dai panni ar core.  Lo scopo della lingua è quello di comunicare, c’è un legame tra evoluzione della specie umana e lo sviluppo linguistico, governato dalla necessità d’espressioni in continua evoluzione. I dialetti regionali stanno scomparendo, o quanto meno si stanno inquinando di parole anglosassoni o di misture di dialetti confinanti. Tutto questo è dovuto da una parte alla velocità nel percorrere grandi tratti in tempi ridotti, attraverso le autostrade, gli aerei, i treni ad alta velocità, e dall’altra alle televisioni e alle radio. Nei tempi antichi i mezzi di locomozione erano le zampe dei cavalli e le ruote dei carri, lo spostamento era lento e l’evoluzione della lingua era stagnante per l’ignoranza del popolo, che utilizzava il dialetto, espressione della tradizione dei propri avi.  In questo libro, nei dialoghi uso delle inflessioni dialettali romanesche che hanno la capacità di esprimere velocemente sapori, colori e odori, rasentando a volte una dialettica indecentemente esplicita, ma con una sua dose di rara comicità. Un connubio difficile tra comicità e dialetto, un po’ come la mia vita con le storie. Mettere in piazza cose intime tra persone amiche e nemiche. Vicende di un vissuto con alti e bassi, risate e lacrime. Mai prima di ora è stato il miglior momento, l’opportunità data dagli anni che versano nel cerchio di non ritorno e il bisogno di tirare la linea del totale tra le cose positive e quelle negative per mettere a posto i conti addrizzando la mira per chiuderle almeno in parità.

 

Crescere tra le onderenato piccolo nuota

Il mio Mare come mia Madre
Quasi primavera lì sulla mia isola, mentre traghettavo nella notte, tra le luci della Madonnina che vibravano nell’acqua scura e fredda. Accovacciato nel mio pullover, che sapeva della mia pelle al borotalco, rannicchiato su una panchina umida di frizzante rugiada, assaporavo l’odore del mare portato dagli spruzzi sollevati dalla prora della nave. La città lontana dormiva e le sue luci vegliavano onnipotenti su strade quasi deserte, sembrava un enorme poster, una cartolina da immaginare nelle più recondite fantasie notturne. Il viaggio era quasi finito, mezz’ora di immersione nei miei giovani ricordi.
 Ecco le sabbie d’oro, eccomi in riva al mare, a piedi scalzi, un finto pantalone da ginnastica recuperato tra i residui di un parente, per vedere di nuovo l’alba araba come un albume che circonda il suo tuorlo ma di colore rosso sangue; lì sulla linea di demarcazione tra l’ellisse e l’universo. Due passi ed un saltino per scacciare il freddo, mentre grossi cavalloni devastavano la battigia e formavano figure mitologiche nella sabbia. Colpivano e si ritraevano, trascinando ogni cosa con ugual forza, lasciando nell’aria solamente il profumo di tutta quella natura rimescolata, ora rotta ora compattata, tra la schiuma da panna montata. Mi eccitava la cosa, avevo bisogno di sentire addosso quella sensazione, quella forza irruente, sentirmi posseduto, come rinascere non dentro le acque di mia madre ma tra le acque cristalline e dorate del mio mare. Lui mi attraeva così tanto da non lasciarmi quasi il tempo di spogliarmi prima di raggiungerlo per immergermici. In un attimo fui dentro a quel freddo, che però non avvertivo, ero stordito, drogato da quell’acqua, forte ed avvolgente. Appena il fondale mi permise di bagnare le ginocchia, fui rapito, sbattuto, come un fuscello libero dal suo albero. Fui risucchiato in un vortice d’acqua concavo, senza nessuna possibilità di reagire, conoscendo bene la tumultuosità di quelle onde respirai affannosamente per poi essere costretto ad un’apnea forzata. Tenevo gli occhi aperti tra le micro bolle e l’acqua salata, non volevo perdermi quello spettacolo per nessuna cosa al mondo. Il turbine mi prese dalle gambe trascinandomi per molte onde, vedevo la scia delle braccia che scorreva in senso inverso alla mia traiettoria, e mi fece vibrare sui fianchi. Poi caricando la sua ira con l’approvazione delle onde a venire, mi catapultò su una delle sue creste spumeggianti, ora sentivo l’aria fredda che tagliava il mio viso, ero parte di essa, parte scivolante della natura, frustato dai miei lunghi capelli mi sentivo un dio, ero per un attimo tornato selvaggio, sentivo tra il tumulto dei cavalloni il mio cuore che suonava sulle mie tempie e sulla mia gola. Aprii le braccia a mo’ di gabbiano tra i mulinelli dell’aria e lasciai al mare il mio destino. Ero consapevolmente compiaciuto di quella violenza, stavo volando vertiginosamente verso la spiaggia, senza poter fare nulla, era solo lui ora che poteva decidere se coccolarmi come una madre o falciarmi come la morte. Infine scivolai sulla sabbia calda e profumata di conchiglie “salinizzate”, rimasi a pancia sotto per riprendere respiro e troncare la tosse da ingerimento d’acqua, tuttavia ero felice.
 Quel momento cosi pieno di sensazioni è stato come oltrepassare la cortina del destino, vivere in un attimo le sfide più recondite: la rincorsa affannosa alla vita, il lasciarsi andare alla morte, la collera per le cose che non sono riuscito a controllare e che mi hanno portato a viverle dividendole nettamente con una sorta di linea fittizia, da una parte l’odio e dall’altra amore. Solo adesso mi rendo conto che non può esistere un taglio netto tra i due, ma l’uno è subordinato all’altro nella mente umana, che vuole godere di questo scambio di ruoli per redimere la sua debolezza nel non sapere giudicare dove finisce un sentimento e inizia l’altro.
 Rivissi lercio di sabbia e umido di salsedine i momenti più belli e più brutti della mia vita in simbiosi con il mare. Momenti di panico chiuso dentro una cabina come un sorcio in trappola mentre la nave sta affondando e momenti di gioia immerso dentro la profondità del mare, dove tutto è diverso, dove le regole che controllano la vita fuori dall’acqua non valgono più: l’assenza di gravità, l’ingerimento di aria, la visione dello spazio a testa in giù, la deformazione della stessa visione in una sorta di enorme lente d’ingrandimento virtuale prodotta dalla maschera; tutto questo con l’emozione di un bambino nell’ammirare questo mondo nuovo così perfetto, un’enorme colonia sociale di moltitudini di esseri che si scambiano la vita e la morte per la sopravvivenza della specie, un mondo sommerso dove tutto si muove a rilento tra correnti calde e fredde, abitato da creature perfette che fluttuano come ballerine tra alghe e coralli senza fretta, e che io guardavo muoversi nel loro habitat. Ciò mi fa pensare che sia l’uomo il vero alieno, venuto fuori da non so quale esperimento per invadere un mondo che non gli appartiene. Noi siamo gli unici esseri asociali, gli unici che per vivere hanno bisogno di occupare gli spazi della natura colando cemento dopo il disboscamento, e usando ciò di più sacro che la natura ha, la sua terra, come discarica. Una discarica a cielo aperto che inquina esseri terrestri e marini. Noi siamo gli unici esseri in questo mondo che producono e regalano morte a fauna e flora senza trarne un vero vantaggio. Il mare e tutto ciò che gli appartiene da secoli vive cosi come è stato progettato senza sprechi, senza inquinamento prodotto dai suoi abitanti per una prospettiva di vita e non di morte.